La storia
Poggio Picenze è un piccolo paese della provincia dell’Aquila che conta circa mille abitanti; situato sulla Strada Statale 17 dell’Appennino abruzzese, a 14 km da L’Aquila.
Poggio Picenze si erge su un'altura di 760 m s.l.m., ai confini del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga, da cui è possibile ammirare l'ampio panorama della conca aquilana e la maestosità del monte Velino, situato a sud-est. Le sue origini si perdono nel tempo, ma alcuni ritrovamenti fanno presupporre che l'area occupata oggi dal centro abitato nel III secolo a.C. facesse capo a un presidio del popolo dei Piceni, presso il monte Picenze, successivamente composto da più villaggi e di cui, ai nostri giorni, rimane un'antica torre di controllo risalente al X secolo. Il moderno nucleo sorse, invece, nel XII secolo, durante il periodo di incastellamento. A testimoniarlo un documento datato al 1173, che chiama per la prima volta il villaggio con il nome di "Podio de Picentia". Fu tra i castelli che, nel 1254, parteciparono alla fondazione dell'Aquila, occupando una parte del quarto di Santa Maria, di cui ancora oggi esiste, nel capoluogo, la chiesa di Santa Maria di Picenze. Per la sua fedeltà alla città dell'Aquila, insieme ad altri 98 castelli, nel 1423 subì l'attacco di Braccio da Montone, nell'ambito della Guerra dell'Aquila, il conflitto di successione angioino-aragonese, che si estese sull'intera penisola italiana, coinvolgendo le forze del Ducato di Milano, della Repubblica di Firenze, dello Stato della Chiesa e del Regno di Napoli. Proprio in quegli anni, la struttura del castello fu gravemente compromesso ma, con l'avvento degli spagnoli, nel XVII secolo, Poggio Picenze si distaccò dal territorio aquilano, passando sotto il controllo di Giacomo dei Leognani. Successivamente divenne feudo marchionale agli Alfieri dell'Aquila e, poi, grazie al matrimonio tra Rinaldo II e Margherita Alfieri e successivamente a una causa con il cognato, i De Sterlich, di Chieti se ne appropriarono nel 1762. Nel 1806 entrò a far parte nel neonato distretto di Barisciano e infine, nel 1927, passò alla provincia dell'Aquila.
LA TRANSUMANZA
L'Abruzzo. Terra di miti e leggende, di paesaggi aspri e incontaminati che raccontano saperi e sapori antichi, di castelli inerpicati e borghi che rievocano la storia e le tradizioni millenarie. Un grande museo a cielo aperto, fatto di fortezze rudi e torri maestose, piccoli paradisi naturali e luoghi sconosciuti anche ai viaggiatori più appassionati. Tutti luoghi che, dall'alto dei loro promontori, dominano incontrastati i paesaggi, richiamando quella sensazione di sospensione nel tempo che tanto piace ai turisti moderni. Tra questi Poggio Picenze è meno famoso dei borghi montani che lo circondano, ma non per questo meno attrattivo dal punto di vista storico e culturale. La zona circostante al paese, infatti, mantiene quasi intatti i sistemi di comunicazione antichi, compreso l’asse tratturale e, data la collocazione territoriale, è chiaro come un tempo fosse ben inserito tra gli snodi commerciali della rete viaria della transumanza. Sin dall'antichità, infatti, il territorio che oggi costeggia dal centro abitato era attraversato dal Tratturo Magno, il tratturo più lungo d'Europa: una via d'erba larga 111 metri e lunga 250 chilometri che tuttora collega L'Aquila a Foggia e che, fino alla metà del Novecento, vedeva centinaia di migliaia di pecore e numerosi pastori migrare due volte l'anno. Per secoli, infatti, i tratturi sono stati attraversati dalle greggi che, in autunno, dall'Abruzzo si dirigevano verso la Puglia in cerca di pascoli, per poi, durante la stagione primaverile, compiere il percorso all'inverso in primavera. La pastorizia transumante, dal latino “trans” (al di là) e “humus” (terra), recentemente dichiarata dall'Unesco Patrimonio Culturale Immateriale dell'Umanità, ha un immenso valore non solo per le comunità che su di essa hanno costruito riti e tradizioni, ma anche per chiunque intenda vivere un'esperienza trasformativa attraverso una pratica antica, narrata anche nei versi di poeti del calibro di Gabriele d'Annunzio. In epoca romana, infatti, divenne una delle principali attività commerciali del posto. Masserie, abbeveratoi, aree per il riposo come le cosiddette “stazioni di posta”, ma anche campi coltivati, chiese, fortezze sorsero lungo le vie erbose dagli altopiani abruzzesi fino al tavoliere delle Puglie. Gli Aragonesi nel XV secolo ne realizzarono una fiorente attività commerciale di produzione della lana, istituendo vere e proprie dogane per esigere tributi e stabilendo la larghezza standard dei sentieri in 60 passi napoletani, cioè i 111 metri e 60 centimetri da cui sono caratterizzati ancora oggi. Nel XIX secolo la transumanza divenne pratica sporadica, ma ancora oggi, calcare le sue vie significa rievocare il passato e i suoi riti millenari, tra borghi e chiese secolari, e ascoltare l'eco di antichi passi incantati da una natura selvaggia e incontaminata.